Questo libro è per il lettore una vera sorpresa, perché deve essere stato una sorpresa per chi l’ha scritto.
Come un animale impastato di aria e di sale, il libro respira il respiro delle tue mani e finisce per innervarsi sulla tua fronte come l’occhio di uno scarabeo d’argento. Sarà difficile che questo racconto muoia come tutti gli altri nella discarica pneumatica di una letteratura condannata alla parodia di se stessa. “Una storia immortale”, come un veleno sottile ma tenace, si mischierà con il tuo sangue e ne cambierà per sempre il colore.
Già la cover appare aliena nella sua vittoriana familiarità. Con quel cielo che sembra uscito dal trip di un pittore espressionista e le due figure appena ritagliate dalla luce in tralice della fine, si rivela come una installazione estrema. L’ultimo ready-made di un pazzo unto da Dioniso. Un memento mori o un testamento della dissolvenza. O forse solo una di quelle fotografie che nelle scene madri dei film si sciolgono nel morso della vampa.
A ben guardare, in questa immagine le due figure non ci sono. Appiattite sul fondale corrugato del nulla, sono già state spazzate via dal vento della parola e hanno lasciato sulla carta solo l’aura del dolore. Il dolore eccentrico di due vite concentriche. Avvitate l’una dentro l’altra nella banalità del male.
In queste pagine c’è solo la parola sovrana che insegue la cristallina perfezione della propria vibrazione. In questa storia immortale, Sebastiano e Blaniĉka non sono. Non esistono al di là del loro negativo perfetto. Non sono i protagonisti di una finzione letteraria. Non sono i personaggi di un romanzo postmoderno. Non sono l’invenzione allegorica di una umanità allo stremo. Non sono gli esangui fantasmi del solito noir votato alla rassicurazione filosofica.
Loro due e tutti gli altri, i morti e i vivi, e la natura abbagliante della montagna e la luce luciferina di Roma e l’eco lacerata della terra di Bucovina, sono la letteratura stessa che chiede conto alla finzione. E sono l’umanità che chiede conto alla letteratura del suo compito. Incarnando la radice di un gesto antico da sempre levato, Sebastiano e Blaniĉka sono la storia che mai finirà.
30 novembre 2013
Luigi Fabio Mastropietro