Archive for the 2008 Category

Visibilia [Termoli 2008]

Posted in 2008 on 23 ottobre 2008 by iram17

Visibilia Invisibili di terra e di cielo

Azione poetica teatrale a cura di AltroVerso

ottobre 2008

Castello Svevo – Termoli

Testi di: Denis Brandani, Valentino Campo, Stefano Calzi, Kharim Chaloub, Luigi Fabio Mastropietro, Ibrahim Nasrallah

Lettrici: Mari Correa, Maria Cristina Piccinno

Musiche di: Mari Correa, Enigma, Djivan Gasparyan, LisaGerrard, Sainkho Namtchylak, Arvo Part, Ahmad Pejman

Interventi di: William Mussini, Antonio Picariello, Nino Barone

Mostra fotografica e performance di  : Flavio Brunetti

Direzione Artistica: Luigi Fabio Mastropietro

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VISIBILIA – GLI INVISIBILI DI TERRA E DI CIELO

Posted in 2008, Art and Visions with tags , , , on 11 ottobre 2008 by iram17
Il libro, la mostra e lo spettacolo di Flavio Brunetti raccontano gli invisibili 
di terra e di cielo. Raccontano gli uomini e le cose che non abbiamo mai visto e 
che non vedremo mai. Le figure di carne e di pietra del mondo fuori dal mondo.
 L’occhio del fotografo assume su di sé il sacro ufficio di “mandare in visibilio
 gli invisibili”... E’ in questa sorta di estasi degli invisibili il segreto 
dell’arte di Flavio Brunetti.
Luigi Fabio Mastropietro – Il Bene Comune – Aprile 2008

visibilia

Dissipatrice di ombre è la fotografia di Flavio Brunetti, che cola nelle ferite 
che sentì nel canto. La foto senza. La foto. La foto senza più niente.... Questa 
fotografia fa fiorire la menta e il timo tra sterpi ruderi e cemento. Fa fiorire 
la lacrima e fa fiorire l’odio. Non ha pietà né compassione perché – ...
Un lento, silenzioso inverno sono le fotografie di Flavio Brunetti... Ma lontano 
da dove - e solo lontano da dove – erompe l’urlo del tutto espressionistico da 
contratti, contorti, michelangioleschi volti.... Se è perduto ciò che sempre non 
ritornerà, ebbene l’intensità di questa assenza davvero chiama da qualche parte
 verso qualche parte. Ovunque ma non qui. E l’utopia è tutta in un solo passo. 
Da compiere.
Stefano Calzi – filosofo esteta – Altroverso n.13

INVISIBILI DI TERRA E DI CIELO – Visibilia 2008

Posted in 2008 with tags , , , on 10 ottobre 2008 by iram17

Testi di: Denis Brandani, Valentino Campo, Stefano Calzi, Kharim Chaloub, Luigi Fabio Mastropietro, Ibrahim Nasrallah

Arte visiva: Flavio Brunetti

Lettori: Mari Correa,  Maria Cristina Piccinno,  Fabio Mastropietro

Musiche di: Mari Correa, Enigma, Djivan Gasparyan,Lisa Gerrard, Sainkho Namtchylak, Arvo Part, Ahmad Pejman

Direzione Artistica: Luigi Fabio Mastropietro

Visibilia – Invisibili di terra e di cielo di Flavio Brunetti

Posted in 2008, Art and Visions with tags , on 10 ottobre 2008 by iram17

Venerdì 10 ottobre 2008 –  alle ore 19,00 – negli spazi del castello svevo di Termoli (CB), con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura della Città di Termoli, si terranno l’inaugurazione della mostra fotografica Visibilia – Invisibili di terra e di cielo di Flavio Brunetti e la presentazione del libro fotografico curato da AltroVerso.

L’evento Visibilia, patrocinato dall’Assessorato alla Cultura della Città di Termoli, comprende:

1. il reading inaugurale di venerdì 10 a cura di AltroVerso, con letture teatrali su base musicale dei testi di Valentino Campo, Kharim Chaloub, Stefano Calzi, Ibrahim Nasrallah, tratti dall’ultimo fotolibrido di AltroVerso – con la partecipazione delle lettrici Aicha Bouazza, Mari Correa e Cristina Piccinno e la direzione artistica di Luigi Fabio Mastropietro;

2. a conclusione del reading di venerdì 10, la presentazione del fotolibrido Visibilia, curata dal critico d’arte UNESCO Antonio Picariello e con gli interventi di Valentino Campo e Luigi Fabio Mastropietro;

2. l‘inaugurazione della mostra fotografica di Flavio Brunetti sugli invisibili di terra e di cielo che resterà aperta dal 10 al 26 ottobre (feriali ore 17,30-21,00 / festivi ore 11,00-13,00 e 18,00-21,00);

3. due repliche dello spettacolo di e con Flavio Brunetti composto da poesie canzoni e racconti di immagini per i giorni di venerdì 17 e venerdì 24 ottobre alle ore 19,30.

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Visibilia 2008

Posted in 2008, Art and Visions with tags , , , , , , on 10 ottobre 2008 by iram17

visibilia

Testi di: Denis Brandani, Valentino Campo, Stefano Calzi, Kharim Chaloub, Luigi Fabio Mastropietro, Ibrahim Nasrallah

Arte visiva: Flavio Brunetti

Lettori: Mari Correa,  Maria Cristina Piccinno,  Fabio Mastropietro

Musiche di: Mari Correa, Enigma, Djivan Gasparyan, Lisa Gerrard, Sainkho Namtchylak, Arvo Part, Ahmad Pejman


Direzione Artistica: Luigi Fabio Mastropietro


Backstage Visibilia 2008

Posted in 2008 with tags , on 10 ottobre 2008 by iram17

AltroVerso – Quaderno di segni Contemporanei

Posted in 2008, Art and Literature, Art and Music, Art and Visions with tags on 9 ottobre 2008 by iram17

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La galleria GiaMaArt studio presenta: “Vana Immagine”, mostra personale di Ettore Frani

Posted in 2008 with tags on 28 giugno 2008 by iram17

La galleria GiaMaArt studio presenta: “Vana Immagine”, mostra personale di Ettore Frani. Con oltre 40 opere pittoriche l’artista indaga il tema del paesaggio, inteso non come mera rappresentazione descrittiva di luoghi reali, bensi’ come riflessione intimista su immagini inconsce. Un teatro mentale in cui emergono, come in una camera obscura, immagini rarefatte e abrase dalla luce, frammenti sottratti alla materia primigenia e condotti – come nella fase alchemica al nero – alla trasformazione.

Dopo il nero “assoluto”, questa nuova produzione di Frani rivela aspetti piu’ malinconici ed evocativi. Le immagini che l’artista dipinge appaiono come strappate alla pellicola filmica o a quella fotografica, sono copie differenziali della “realtà”, ormai assente e lontana. Luoghi interiori dall’atmosfera desolata, a tratti opprimente o romantica, dove lo spettatore, come davanti a uno schermo, e’ impedito a qualsiasi relazione che non sia percettiva o fantasmatica. Senza mai apparire in maniera evidente, la figura umana si fa sguardo ed emerge, come traccia residuale, attraverso la proiezione di fragili ed esili ombre. “Vana Immagine” e’ il simulacro di una realtà esterna che appare nei modi dell’illusione, sul quale proiettiamo il nostro essere al mondo.

“Nell’ambito dell’inaugurazione della mostra, nel suggestivo giardino della galleria, e’ previsto un breve reading teatrale dal titolo ‘Luce Nera’, a cura del Quaderno internazionale di segni contemporanei AltroVerso. Il reading intende far emergere la dimensione aniconica e letteraria dell’artista visivo Ettore Frani ed e’ frutto naturale della collaborazione artistica instaurata ngli ultimi quattro anni tra lo stesso artista visivo e il Quaderno internazionale AltroVerso”.

testo in catalogo: Denis Brandani

inaugurazione sabato 28 giugno 2008 – ore 19,30

GiaMaArt Studio
via Iadonisi, 14 – Vitulano (BN)
Orari: dal martedi’ al sabato ore 17.00 – 20.00 e per appuntamento
Ingresso libero

Gian Ruggero Manzoni, Il guerriero giaguaro battitore di piste

Posted in 2008, Art and Literature with tags , , , , , on 25 giugno 2008 by iram17

 

“L’albero di Maehwa” di Gian Ruggero Manzoni è romanzo di catabasi e anastasi (per dirla alla Emile Zola), è il romanzo della caduta e della resurrezione dell’umanità di Ponente. Il protagonista, Riccardo Celsio Leardi, pseudonimo Nessuno, è il protagonista dell’ultima epopea dell’eroe solitario. È l’ultimo gladiatore, il perdente destinato all’impresa, il vate inascoltato, l’intellettuale perduto tra nichilismo e titanismo. Ma è anche l’eroe tragico classico per antonomasia, sospinto dai venti del fato verso la dannazione. Una personalità intessuta dal preciso orgoglio di essere “fuori moda”, di vivere una vita “fuori moda” e “fuori modo” eppure, a suo modo, così dentro il mondo. Un orgoglio che deriva dalla coscienza di Nessuno di essere nella vita e nell’arte lo stampo di se stesso e di nessun altro. Un orgoglio che a tratti si stempera in quella carica ironica così cara all’autore, una barbarica ironia a dominante mistica. Qualche giorno fa abbiamo parlato con Gian Ruggero Manzoni del film “Gli spietati” – lo splendido lavoro di Clint Eastwood. Riccardo Celsio Leardi possiede proprio quella ‘tenera’ ferocia di alcuni personaggi eastwoodiani, ma anche di certi eroi da cinema orientale d’autore depositari di una violenza lirica e malinconica, come se ne trovano nella trilogia della vendetta del coreano Park Chan-wook. Una violenza vicina al modello pulp che sembra rivivere nella crudezza e nel gusto per l’eccesso di alcuni passaggi de “L’albero di Maehwa” con la differenza fondamentale che con questo romanzo Gian Ruggero Manzoni reiventa la narrazione di genere in chiave di impegno civile e di tensione epica.

Tutti i personaggi de “L’albero di Maehwa”, ognuno a proprio modo, mettono in gioco se stessi in una sfida con la morte che è salvifica, anzi, per qualcuno, rappresenta l’unica salvezza, il solo riscatto per una vita sbagliata. La vicenda narrata ne “L’albero di Maehwa” è, per i suoi personaggi bergmaniani, una vera e propria ristrutturazione di personalità, una ricostruzione di identità, seppure estrema e definitiva, senza ritorno. Il libro si apre con la grande metafora del bonsai, l’albicocco nano, la miniatura di mirabili proporzioni, vecchia di duecento anni, che tante vite ha vissuto, rimanendo sempre uguale a sé. Una metafora che rappresenta la storia umana e la memoria di questa storia stratificata nella scrittura. Una scrittura della memoria che deve essere coltivata e curata con un assiduo impegno liturgico e mai dimenticata, pena la perdita dell’identità. Non a caso la cura del Maehwa è affidata a Riccardo, il protagonista, uno che, per dirla con l’autore, ha “il sacro e la ritualità sacra ben piantati dentro”. E a proposito dell’autore, trovo affascinante la definizione che Andrea Ponso suggerisce per Gian Ruggero Manzoni: non solo, o non tanto, uomo di teatro, ma, piuttosto, “uomo teatro”, nel senso di “uomo evento”. Un uomo destinato a vivere la letteratura e l’arte come condizione di vita e a pagarne fisicamente il prezzo. Un uomo, un intellettuale, un artista che, prima d’inscenare i propri lavori teatrali, mette in scena se stesso, senza remore e infingimenti, sul palcoscenico della vita (che poi, in fondo, è l’unica forma di teatro veramente radicale e totale).

La scrittura letteraria de “L’albero di Maehwa” è un’originale commistione di lingua alta e bassa, di flussi quasi vernacolari e di invettive contro i poteri forti nel mondo, ispirate da una limpida ideologia umanistica, efficaci nella loro semplicità e immediatezza. E anche l’arte e la letteratura sono dominati da poteri forti, come narra il protagonista, Riccardo, alias Nessuno, a Libero, suo unico amico, boxeur d’altri tempi, al quale resta la fierezza come unica arma. “Se non stai alle regole sei fuori”, dice Nessuno a Libero. E bisogna dire che, specularità autobiografiche a parte, Gian Ruggero Manzoni non è mai stato alle regole del gioco, in particolare ha sempre rigettato le regole imposte dal mercato dell’arte e della letteratura, ricevendo in cambio il farisaico ostracismo dell’establishment culturale italiota. Gian Ruggero Manzoni, e lo sa bene chi lo conosce appena, possiede competenze e interessi preziosi che spaziano dall’arte visiva alla filosofia, dalla letteratura alla scienza, dall’ebraismo alla teologia, dalla teoria dell’arte alla scrittura per il teatro, dalla politica all’arte militare. Ma quello che conta, al di là del suo naturale eclettismo, è che Gian Ruggero è uno dei pochi, pochissimi intellettuali italiani dotati della proprietà di essere veri, non nel senso di essere depositari della verità e nemmeno nel senso del verismo/spontaneismo paratelevisivo di tanti presunti grandi comunicatori, bensì nel senso di non simulare o dissimulare se stessi attraverso ideologie e posizioni di comodo.

Gian Ruggero Manzoni vive l’arte e la letteratura come azione e la agisce. Non a caso è anche raffinato artista visivo, pittore di tempeste cromatiche, di simboli e di percorsi gnostico-totemici perché, come dichiara in quello che è un verso – epigrafe de “Il mercante di allodole” (1977) – “Chi comprende i simboli con le mani è l’unico uomo libero”. La sua dimensione artistica è dunque prima di tutto una prassi, un’azione razionale di scardinamento ma anche viscerale di creazione. Il suo fare è il fare per cambiare il mondo. Premesse e assiomi meta-artistici già evidenti nel manifesto de “Il Visceralismo”, la corrente di pensiero fondata dall’autore poco più che ventenne nel 1979. Ma quale è il segreto di questo equilibrio viscerale tra pensiero e azione? La ricerca della giusta relazione tra pensiero e azione è da sempre un universale culturale per l’intellighentia, le classi intellettuali di tutte le epoche storiche. E sia per gli intellettuali che per gli altri uomini, molte sono le tecniche e le filosofie che pretendono di insegnare l’arte di questa superiore omeostasi. Lo sciamanesimo tolteco, di castanediana memoria, ne rivela il segreto nell’arte del guerriero – definita anche arte del battitore – una vera e propria scienza del comportamento impeccabile attraverso la manipolazione della percezione.

Gli “uomini di conoscenza” toltechi vedono pensiero e azione perfettamente fusi nello stadio sublime della libertà, ma per raggiungere questo stadio non operano riti esotici e incantesimi sanguinosi, non creano pozioni magiche. La vera e unica magia per essere liberi, secondo Don Juan Matus, è nel vivere impeccabilmente, applicando l’arte del battitore. “Un guerriero è un cacciatore perfetto che dà la caccia al potere… un guerriero-cacciatore ha contatti stretti con il suo mondo, ma al tempo stesso a quel mondo è inaccessibile… un guerriero è spietato perché non indulge all’autocommiserazione; è paziente perché sa rinunciare all’aspettativa e avere fiducia nell’intento; è gentile perchè sceglie e percorre sentieri che hanno un cuore”.

Sono convinto che questa descrizione un po’ epica bene si attagli all’uomo e all’intellettuale, oltre che all’artista Gian Ruggero Manzoni, figura limpida di pensatore e attore (nel senso di agire l’arte) che sembra incarnare proprio questo eponimo mitografico e letterario, il guerriero/battitore di Don Juan Matus, paziente nella sua perenne ricerca di una funzione civile dell’arte, nella sua incrollabile fiducia nell’intento di una letteratura vissuta come condizione e atto politico di libertà e non come professione di credo e potere mediatico da spartire in consorteria. Non a caso, il Manzoni pittore e scrittore, poeta e teorico dell’arte, al di là dell’indubbio carisma “leonardesco”, al di là del sangue “favoloso” di Alessandro o più terrestre di Piero Manzoni che scorre nelle sue vene, è, soprattutto, un “battitore” di piste difficili verso la libertà, verso un senso superiore dell’esistenza. Questo è il karma degli anni trascorsi nei posti caldi della terra come volontario del Battaglione S. Marco o di quelli passati a insegnare storia dell’arte nelle Accademie di Belle Arti; questo è il senso dell’incessante impegno nella narrativa e nella poesia, nel teatro e nelle arti visive, in favore di una cultura “altra”, liberata dai lacci del consumo dei non-luoghi della postmodernità, in favore di un’arte libera di andare; e questo è il significato della sua spietatezza nei confronti dell’invalidante Morbo di Crohn che lo ha colpito anni fa e alla ricerca sul quale morbo l’autore devolve tutti i proventi delle sue opere. Ma questo è anche il significato della battaglia che gli “eroi” de “L’albero di Maehwa” devono combattere quotidianamente contro quell’aggressione sociale che io chiamo la tecnocrazia del lutto – tra l’altro splendidamente incarnata da due memorabili personaggi della mafia russa, veri e propri critici e cultori d’arte dalla fine sensibilità – sì, quella battaglia quotidiana contro la tecnocrazia del lutto che io vedo come stadio ulteriore e successivo alla società dello spettacolo, così profeticamente vista da Guy Debord nella sua omonima opera incendiaria del 1967.

Io vedo un Occidente tecnocratico e plutocratico nel quale i cosiddetti poteri forti, le multinazionali, la finanza e la politica virtuale (perché l’economia e la politica non esistono più da tempo in Occidente), dopo aver mercificato l’uomo e i suoi desideri – corrompendoli in bisogni – stanno adesso vendendo la morte un tanto al chilo. La stanno svuotando di senso e mercificando attraverso lo strapotere della triade: armi, guerra, petrolio… soprattutto attraverso l’imperversare della guerra infinita per il petrolio, condotta dal sanguinoso esercito monoteista globale. Dunque, se le convenzioni di mercato non valgono, per Gian Ruggero Manzoni esistono ben altre regole: le regole senza tempo della storia umana, le regole non scritte della civile convivenza con l’alterità, con l’altro da noi, come emerge dall’accorato incontro tra la madre di Riccardo – singolare figura di aristocratica disillusa – e la bellissima Fatma, depositaria di un rigenerato futuro della decaduta stirpe nazionale.

La figura di questo eterno femminino mediterraneo, di Fatma, bellissima e sacerrima donna algerina, è la vera protagonista del romanzo e vive magistralmente in alcune pagine di un erotismo denso e vibrante. Fatma è un personaggio per il quale bisognerebbe riconvertire l’etimo di sensuoso e farlo derivare da una fusione di flessuoso e sensuale. Ma Fatma possiede anche il dono della ricettività creativa e della memoria storica dell’umanità di Levante. Non a caso nel romanzo è la guida, la salvatrice e, in un certo senso, anche la “carnefice salvifica” di Riccardo, colei che lo “dannerà” alla resurrezione. Per questo amo “L’albero di Maehwa”, ancora più di quanto ho amato e apprezzato l’ultimo romanzo di Gian Ruggero Manzoni, “La Banda della Croce”, perché, con quest’ultimo lavoro, in misura ancora maggiore rispetto alle precedenti opere, l’autore incide un segno profondo nella coscienza dell’uomo contemporaneo. Reinventando il romanzo di genere in chiave di testamento civile, spazzola via la forfora dell’intrattenimento di tanta letteratura cannibale o pseudocannibale e rivela lo specchio tristemente vuoto degli autori dei best seller per un giorno. Il punto è che, a differenza di tutti gli altri pseudoartisti e pseudoautori, Gian Ruggero Manzoni ha cose da dire e le dice con voce ferma e instancabile, perchè le ha vissute e continua a viverle. Queste cose hanno il profumo del futuro. Parlano di quello che ci sta accadendo e che ci accadrà nei prossimi anni. Raccontano dell’Italia di oggi e dell’Occidente di oggi. E della pari stupidità dei vari occidentalismi e orientalisti, camuffati in apocalittici scontri di civiltà. Svelano l’ignavia e l’incoltura-incultura di una politica che pretende di arginare la disperazione del mondo introducendo nuove figure di reato. Scoprono la mancanza del senso della storia in coloro che dovrebbero insegnarla. Perché questa è letteratura che, al pari del protagonista del libro, non ha paura di morire sapendo di rinascere nella pancia del mondo. E anche perché, e scusate se è poco, come afferma il Don Juan Matus di Carlos Castaneda, “l’arte del guerriero e dell’artista sta nel bilanciare il terrore di essere uomo con la meraviglia di essere uomo”.

testo di Luigi Fabio Mastropietro (In occasione della presentazione del libro "L'albero di Maehwa" 
 di G.R.Manzoni a cura del Centro Culturale Abraxas in Santa Croce di Magliano  (CB) - giugno 2008)

Le radici culturali della “Rivoluzione dolce” del maggio’68

Posted in 2008, Art and Visions, L'Aquila with tags , , , on 21 giugno 2008 by iram17

OMAGGIO A GUY DEBORD Le radici culturali della “Rivoluzione dolce”  del maggio’68 l’aquila 21-22 giugno 2008

Le manifestazioni e le iniziative culturali in corso in tutt’Italia per ripercorrere storicamente e criticamente l’effervescente stagione del Maggio ’68 (Convegni, libri, concerti, ecc.), hanno suggerito, all’Associazione Culturale Angelus Novus, di promuovere due giornate intere full immersion dedicate alla riscoperta dell’opera cinematografica ed degli scritti teorici di uno dei più lucidi e radicali filosofi europei della seconda metà del Novecento: il francese Guy Debord.

Si può affermare, senza alcuna ombra di dubbio, che senza Debord (1931-1997) ed il Movimento dell’Internazionale Situazionista (1958-1972) da lui diretto, non si sarebbe verificata in Europa né la piena presa di coscienza (da parte delle masse studentesche sopratutto) dei non-valori neo-capitalistici su cui è imperniata la “Società spettacolare” (da lui teorizzata) fondata sulla produzione e sul consumo acefalo delle merci, né tanto meno la rivolta studentesca che proprio nel ’68 pose con forza le istanze di cambiamento di giovani, donne (le questioni “giovanile” e “femminile”), proletari (o meglio, sottoproletari).

 

Riviste:Internationale Situationiste (1958-1969)

Libri: La società dello spettacolo (La societé du Spectacle)

Cinematografia: Guy Debord son art et son temp (1994) – Hurlements en faveur de Sade (giugno 1952) – Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps (settembre ’59) -Critique de  la Séparation (genn.-febbr. 1961) –  La Societé du Spectacle (maggio 1974) – Réfutations de tous les jugements, tant élogieux qu’hostiles, qui ont été jusqu’ici portés sur le film “La Societé du Spectacle” (1975).

Per meglio raccordare l’iniziativa dedicata alla figura ed all’opera di Guy Debord al “simbolo immaginifico” del Maggio ’68, si terrà inoltre, nello spazio culturale di Angelus Novus la rassegna d’arte contemporanea L’IMMAGINAZIONE AL POTERE / IL POTERE DELL’IMMAGINAZIONE  alla quale sono stati invitati (da parte dei curatori, i critici Antonio Gasbarrini e Antonio Picariello)  artisti abruzzesi e artisti molisani che realizzeranno per l’occasione un’opera di cm. 40×40. La mostra itinerante, che sarà inaugurata nella stessa giornata dedicata a Debord, resterà aperta fino al 10 luglio, e sarà successivamente trasferita in uno spazio museale molisano.

 

Associazione Culturale Angelus Novus L’AQUILA VIA SASSA 15

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