Il Corpo di Dioniso, Denis Brandani
Non vedrò mai il dio in faccia.
Ma non importa più, ormai.
Ho sentito la sua musica
e posso respirare il suo fiato dentro di me
(Denis Brandani)
Il corpo di Dioniso
Racconto d’inverno è un romanzo e un’opera musicale. Generati dallo stesso autore, il racconto letterario e quello musicale portano lo stesso nome. Sono come gemelli omozigoti. Fecondati dallo stesso uovo, mostrano geni culturali uguali.
In realtà, penso che non ci sia differenza tra il Racconto d’inverno letterario e quello musicale, perché entrambi sono una bussola che mi guida nel labirinto cieco di questa esistenza. Un sestante, per misurare l’angolo di elevazione della mia coscienza sull’orizzonte limaccioso di questa incarnazione. Racconto d’inverno, come un sestante, fa combaciare lo specchio dei miei sogni con lo specchio della realtà, sottraendo la deriva nel quotidiano della mia mente.
Quando leggo della fuga rosso sangue del protagonista, penso che Racconto d’inverno sia stato scritto da sempre. Penso che sia stato cantato ancora prima della scrittura. Salmodiato dalle voci dei morti del mondo prima di affondare la faccia nella terra. Prima di passare la soglia in fiamme del monte Horeb.
E allora vedo che il fuggiasco e il bambino-guida e la giovane donna sono la stessa persona. Condannata a girovagare nel labirinto di specchi e chimere di Cnosso. Sono il Minotauro che vive nel sottosuolo allagato della mia coscienza, perchè Racconto d’inverno è la cabala visiva del Minotauro prigioniero di se stesso.
E come il Minotauro comincio a vedere sigilli di fuoco impressi sulle porte di piombo. Comincio a udire suono di passi nelle gallerie deserte. Voci che si rincorrono nella mia testa. Gli occhi velati di cenere e lacrime, vedo tutti i colori del mondo. I colori del deserto e delle città di sabbia. Il muto colore della tormenta e il suono trasparente della pioggia sul roveto. Come il Minotauro braccato, ho in bocca il sapore nero della guerra. Un freddo che non è di questa vita mi brucia le ossa. E mi nutro dei pochi sogni che riesco a catturare. Sotto i miei piedi, nel letto della terra scorreva un fiume. Ora c’è solo il suo canto. Dove era l’uomo, ora solo un’impronta di polvere. Un’orma opaca.
Le mie dita sfiorano la corteccia dell’ultimo larice e i miei occhi lo sentono respirare e il sale sulla lingua mi dice che il mio viaggio sta per finire. Come il fuggiasco di Racconto d’inverno, sono giunto nella terra della pietra lunare inseguendo l’orizzonte. Sono nato nella casa delle Madri, nel fondo di quel mondo che ha spento le stelle prima che io nascessi.
Come Cristo scacciato da Dio, la mia fronte gronda sangue e le mie mani si sono indurite come quelle dei morti. Domani il mio cuore diserterà da me. E allora, dovunque mi trovo, sulla roccia della montagna o sull’asfalto di una città perduta, mi siedo di spalle alla luna.
Per i miei figli lontani o per i figli che non ho mai avuto o forse solo per me stesso, comincio a raccontare. Accendo un fuoco perché il mio racconto si nutra e le bestie si mantengano fuori del cerchio. Sento già arrivare i miei demoni in punta di piedi e unirsi al cerchio in silenzio. Adesso che il sole è tramontato e la casa è vuota, posso ricordare i loro nomi. Nominarli uno ad uno e recidere uno ad uno tutti i fili che mi legano a questa vita.
Non è strano che si possa dormire mentre la luna attraversa il cielo?
Mentre il mondo soffoca, resto zitto. Acquattato tra le coltri iridescenti del tramonto, aspetto. Aspetto che arrivi, trascinandosi sulla rena bagnata, le scarpe di stracci, incatenato per il collo all’infermiera bendata. Aspetto di vederlo cadere in ginocchio e ridere in faccia al mare, più forte del suo mugghiare. Aspetto di vedere il disertore di Racconto d’inverno tagliare quella luce così dolce e nera. Aspetto di vedere le crepe nei suoi occhi per cogliere il corpo del dio che si muove. Ma il dio si nasconde nella sua lingua gonfia di annegato e viene fuori sempre alle mie spalle.
Non vedrò mai il dio in faccia. Ma non importa più, ormai. Ho letto il suo libro. Ho sentito la sua musica e posso respirare il suo fiato dentro di me.
Denis Brandani