di Caterina Sottile – Oratino, 1 Maggio 2007
La quarta edizione del premio nazionale di Poesia “Arturo Giovannitti”
Premio della giuria popolare a: “Ho in bocca un dolce sapore di parole”, di Domenico Caso. Il tema che ispira il Premio Giovannitti é la poesia impegnata, la scrittura come denuncia.
E quest’anno, non a caso, molte poesie fra quelle selezionate
parlavano di guerra; talvolta in modo semplice, come chi,
distrattamente, avverte il disagio di povertà lontane e la solitudine
di popoli umiliati, di cui “ci sfugge il nome”.
Il professor Peppino Cacchione, a proposito di “Darfur”, ne ha analizzato la qualità
stilistica ma convinto, egli stesso, che il tema trattato non può
lasciare indifferenti, al di là della forma e della struttura
linguistica. La Poesia di impegno civile deve essere uno schiaffo e
deve far dimenticare gli schemi , arrivando al centro della nostra
emotività.
Di fronte ad un pubblico attentissimo e di tutte le età,
Fabio Mastropietro, attore, autore e interprete degli sbalzi
dell’anima che attraversano sempre la Poesia, anche la più elementare,
ha aperto la serata leggendo Giovannitti. “Leggere” é il verbo che
meglio si concilia con la forza espressiva di quella sua sensibilità
d’attore che legge dentro le parole la forza e la consapevolezza che
le ispirarono.
Un controcanto con Mari Correa, voce femminile ed eco
struggente della lettura in lingua originale di Giovannitti: la
ragione e la passione, l’azione e la coscienza, attraverso due
interpetazioni speculari che hanno tenuto il pubblico in un silenzio
incombente, come un allarme che non sappiamo decodificare.
E ci ha pensatoPier Paolo Giannubilo a porre la domanda più difficile: “In
una società che rimuove la memoria dei propri vecchi, che non riesce
più a compiere il passaggio vitale tra le generazioni e omologa i
tempi e le esperienze ad una perenne giovinezza di plastica, si può
ritrovare la forza dell’impegno civile, anche attraverso la poesia?
Ri-legge Majakovskij e chiede al pubblico se é ancora possibile oggi
parlare di impegno civile, in un pianeta che ha di fronte il rischio
di estinguersi. Un pericolo più grande e globale delle dittature,
delle guerre, dello sfruttamento del lavoro.
La nostra generazione ha di fronte a sè, per la prima volta, emergenze per le quali non ci si
può appellare al già vissuto e che provengono anche dalla disaffezione
al mondo. Questa é una generazione che ha avuto molte cose e che non
ha mai imparato a dar loro valore. Ed é fragile, terribilmente
impreparata ai cambiamenti. I figli “fortunati” di chi i mutamenti
della Storia li ha conquistati e inseguiti non hanno dovuto imparare a
difenderli. La conseguenza é una “sedimentazione” sociale che tende a
conservare tutto e il suo contrario, in un continuo compromesso tra
informazione e mistificazione che ci rende inermi.
Valentino Campo, poeta e direttore di Altroverso ha “lasciato” che fossero i versi di
Mario Luzi a segnare il percorso una conversazione difficile ma ,
vivaddio, edificante: ” Muore ignominiosamente la repubblica.
Ignominiosamente la spiano i suoi molti bastardi nei suoi ultimi
tormenti. Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza
accanto….” Valentino Campo commenta la solenne pietà di Luzi e quasi
senza accorgersi finisce per citare Pasolini, immanente voce della
letteratura politica di cui noi, soprattutto noi italiani, continuiamo
a sentire l’eco.
La Poesia di Pasolinié dentro la nostra storia
recente, come le inquietanti entità piumate di cui parla Denis
Brandani in “Dodici casi più uno” nell’ultima pubblicazione di
Altroverso. A sorpresa, tutto appare vicino al Molise: l’impegno
civile e l’identità che ci rende coraggiosi, i legami forti e la
libertà dai legami; tutto ci è familiare attraverso la letteratura. Ci
frulla nella testa: “Sostiene Pereira”, dichiarazione d’amore alla
parola scritta che riscatta dall’inerzia e dà il coraggio di agire;
amando le pagine scritte come si amano le scarpe con cui possiamo
camminare a lungo. Perchè la poesia è una sintesi bella di tutte le
cose di cui abbiamo davvero bisogno: “Di mio padre mi rimangono 12
fazzoletti di cotone ripiegati, un pennello da barba, una cintura e un
paio di scarpe marroni, lucidate. E un cappello al chiodo
abbandonato…”
Una piccola poesia di Loriana Capecchi che ci sembra
di aver sentito molte volte, qui, nel Molise delle foto in bianco e
nero e dell’odore di grano dei suoi contadini in affanno.
Il premio Giovannitti é una risposta a chi pensa che la cultura non sia
patrimonio di tutti; bastava guardare il pubblico per capire quanta
meraviglia può generare l’arte, ovunque e comunque. E fra il pubblico
c’erano i bambini. Ci si poteva chiedere cosa avrebbero colto nei
versi di Arturo Giovannittie nelle poesie che parlano di genocidi e
di ingiustizia; il commento di Virginia, quarta elementare, innamorata
delle parole e del teatro, ci rassicura e spiega a cosa serve una
poesia: “Mi piace molto scrivere filastrocche, ma ora ne scrivo un po’
meno perchè voglio leggere di più…” Fa sorridere, una bambina
bellissima e piena di idee, che ascolta attentaFabio Mastropietro
mentre “tuona e sussurra” nell’auditorium di Oratino, ma é un indizio
straordinario dell’utilità concreta della poesia portata fra la gente.
Nota raffinata, mandolino e chitarra che suonano “Fenesta vascia” e
altri capolavori napoletani, sulla voce carezzevole di Maria Grazia
Paolantonio: classe e bravura mediate da una invidiabile
confidenzialità con la tradizione musicale partenopea. Una “bell’aria
fresca” su cui fare progetti veri per il Molise.
Perchè la Poesia, affidata a chi sa porla al pubblico produce attenzione, più dei
ritornelli della pubblicità, o dei rumori indistinti che si disperdono
nell’abitudine generale di “non sentire più”.
(tratto da libriedintorni.splinder.com)
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